Scopo dell’Associazione
Quando costituimmo la nostra Associazione – inizialmente con un nome diverso – era il 1987 e qualcuno si chiese: “Perché un’associazione che riunisce persone con balbuzie?”.
Ci demmo molte spiegazioni, tutte valide. Ma oltre a questo qualcun altro ebbe l’idea di scorrere l’elenco telefonico – ci trovavamo a Roma – per vedere quante e quali associazioni esistessero limitatamente alla capitale. Non ricordo i numeri di allora, ma oggi, scorrendo le stesse Pagine Gialle di Roma, si contano la bellezza di 6.040 associazioni.
Convenimmo che tra tutte le altre poteva starci benissimo anche la nostra. Magari anche con qualche diritto in più di “esserci”.
Gli scopi sono presto detti: fare informazione e sensibilizzazione su un disturbo, il nostro, cui in Italia si dà ben poca importanza, si presta scarsissima attenzione e di conseguenza si destinano irrilevanti risorse per la ricerca.
Una nostra socia ha così definito la balbuzie: «Il nostro disturbo ci ha spesso umiliato profondamente, ci ha relegato in un ruolo patetico o grottesco, ci ha inibito nei rapporti sociali condizionando non di rado le nostre relazioni, ci ha costretto a volte all’autoemarginazione. La balbuzie è uno di quei mali che feriscono sottilmente ma in modo penetrante, anche perché la scienza ufficiale non ne conosce la genesi e solo negli ultimi tempi si sta facendo qualche progresso; sui volti della gente poi c’è sempre un misto di pietà, di imbarazzo o di divertita ironia nell’ascoltare il balbuziente, il quale non ha così cittadinanza tra i normali e neppure la dignità dei disabili: figli di un dio minore, per di più senza riconoscimenti o benefici di legge. Il servizio sanitario nazionale non prevede, tra l’altro, alcun tipo di rimborso per chi sceglie una terapia presso centri privati. Giova ricordare poi che fino a qualche anno fa chi balbettava era idoneo per il servizio di leva ma rifiutato per la carriera militare, mentre tuttora è escluso in partenza in concorsi pubblici nel cui bando si cita esplicitamente la balbuzie come motivo di esclusione».
Claudio Zmarich – Primo Ricercatore all’ISTC-CNR, fonetista esperto di balbuzie e sviluppo fonetico e fonologico – nostro socio, ci ha scritto tra l’altro: «[...] per me paradossalmente è più facile stendere un resoconto sullo stato attuale della ricerca a livello mondiale [...], e il perché risiede nella relativa facilità di accesso alle pubblicazioni straniere (in lingua inglese) che parlano di balbuzie, spesso molto qualificate (come gli articoli pubblicati in riviste scientifiche e passati al vaglio dei “peer reviewers”, e nella ricchezza di informazioni, spesso organizzate sotto forma di pubblico dibattito, che ne consegue. Ora, niente di tutto questo esiste in Italia, e nel fornirvi qualche motivazione risponderò anche all’altro vostro quesito (quello sul perché in Italia le ricerche sono così sporadiche”). Gli italiani che hanno qualcosa di scientificamente sensato da dire preferiscono pubblicare su riviste di lingua inglese, ma sono pochi. Per esempio nelle 100 pagine di bibliografia in coda all’ultima edizione del classico manuale di O. Bloodstein (Bloodstein & Bernstein-Ratner, 2008) gli italiani si contano sulle dita di una mano sola, e gli iscritti ai più importanti eventi internazionali che riguardano la ricerca sulla balbuzie di questi ultimi anni anche. Elenco discorsivamente una serie di ragioni che contribuiscono a spiegare lo stato pietoso della ricerca/trattamento della balbuzie in Italia:
- scarso interesse e scarse risorse pubbliche dedicate alla ricerca in generale;
- scarso interesse della sanità pubblica a trattare pazienti che richiedono cicli terapeutici spesso lunghissimi;
- assenza di prevenzione (tipico atteggiamento del pediatra di fronte al bambino di 3 anni che già balbetta in modo grave: “aspettiamo prima di intervenire, tutti i bambini attraversano una fase di disfluenza, vedrete che gli passerà”);
- scarsa conoscenza della lingua inglese (indispensabile per accedere alle informazioni scientifiche più aggiornate);
- quadro normativo sulle professioni coinvolte nella diagnosi e trattamento della balbuzie molto confuso: assenza di una preparazione specifica nei professionisti: le scuole di logopedia prevedono pochissime ore di insegnamento per la balbuzie e i curricula sono diversi a seconda delle scuole. A livello medico la foniatria (che si proponeva come l’equivalente dello Speech Pathologist nordamericano) sta perdendo colpi e ciò si riflette fatalmente nella formazione degli operatori. Gli psicologi della più varia estrazione si sentono autorizzati dal senso comune (e anche da molti balbuzienti) ad intervenire in modo elettivo sul paziente, ma negli USA la ricerca ha già bandito spiegazioni eziologiche di tipo psicanalitico, e il contributo dello psicologo di altra formazione è spesso utile, ma quasi mai risolutivo;
- arretratezza culturale e predominio del pregiudizio, che si rispecchia nel luogo comune che vede il balbuziente come una persona con problemi psicologici, o quando va bene, “timida”;
- incapacità per il paziente di scegliere tra terapie “buone” e “cattive”, e impreparazione del medico di famiglia a dare indicazioni in merito;
- assenza di gruppi di pressione a favore dei balbuzienti...».
L’obiettivo quindi della nostra Associazione è quello di diventare quel gruppo di pressione di cui parla Claudio Zmarich, perché anche in Italia si faccia di più e di meglio. Cercheremo quindi di parlare di balbuzie con grande obiettività e con un messaggio per tutti: se è sbagliato drammatizzare, sarebbe ancora peggio sottovalutare, sminuire, banalizzare.