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La balbuzie - Un altro punto di vista

Per comprendere la balbuzie è necessario considerare più punti vista

La complessità del fenomeno balbuzie sconsiglia ogni sua definizione che sarebbe comunque riduttiva. Si può dire tuttavia che due sono le caratteristiche fondamentali del disturbo: esso è relazionale in quanto si manifesta in presenza di un interlocutore e variabile perché si balbetta più o meno a seconda degli stati d’animo legati a situazioni e persone. Le difficoltà si manifestano quasi sempre con esitazioni, ripetizioni e blocchi della parola.

Tutti gli studiosi sottolineano, al di là delle teorie di riferimento – organicistiche, foniatriche, psicodinamiche – lo scompenso emotivo da ansia sociale quale elemento scatenante il balbettamento nelle sue diverse forme: tonica, clonica, mista, labiocoreica, gutturotetanica.

La balbuzie come problema di comunicazione coinvolge questi tre soggetti della relazione: la persona che balbetta, la sua famiglia, gli “altri”. Una vera e propria “triade” inceppata.

Chi balbetta è bloccato della paura del giudizio dell’altro per il timore di mostrarsi inferiore o comunque inadeguato. Questo spiega la sua tipica condotta di evitamento, di fuga, di delega, pur conoscendo egli le proprie capacità che a volte riesce ad esprimere tuttavia in modo efficace.

La famiglia poi vive spesso come una “sventura” la balbuzie che ha colpito uno dei suoi membri. Sperimenta, insieme all’angoscia, un senso di impotenza e disorientamento. Quando la balbuzie insorge, generalmente tra i 2 e i 6 anni, il medico di famiglia giustamente tranquillizza e rassicura potendo trattarsi di un fenomeno transitorio, ma non sempre ci riesce, specie quando in famiglia è presente qualche altro caso di balbuzie. Comuni sono nella famiglia gli inviti alla calma, a controllarsi, a respirare prima di parlare, a ripetere le frasi. Tutte sollecitazioni che ottengono invece l’effetto di sottolineare anche agli occhi del bambino una situazione che da evolutiva può trasformarsi in cronica.

Il terzo soggetto della triade – gli “altri” – si riferisce alla scuola, agli amici, ai colleghi, alle persone dell’altro sesso: tutti, ognuno a suo modo, tendono a porsi nei confronti di chi balbetta secondo modelli culturali discriminanti. L’atteggiamento di “benevola comprensione” da una parte, e quello della “presa in giro” o della risatina dall’altra, costituiscono le due manifestazioni estreme di una cultura e di una mentalità che non riesce a fare i conti con i tanti modi di essere della persona umana.

A questo punto – più che tentare di definire la balbuzie in modo scientifico (ci hanno già provato molti studiosi, ognuno a modo suo) – noi intendiamo farlo attraverso una denuncia che faccia riflettere chi ha orecchie per intendere e buon senso per capire: “Il nostro è un disturbo che ci ha spesso umiliato profondamente, ci ha relegato in un ruolo patetico o grottesco, ci ha inibito nei rapporti sociali condizionando non di rado ogni relazione con il mondo esterno, ci ha costretto a volte all’autoemarginazione. Purtroppo la balbuzie è uno di quei mali che feriscono sottilmente ma in modo penetrante, anche perché la scienza ufficiale non ne conosce la genesi (in altre parole non ne sa niente); sui volti della gente poi c’è sempre un misto di pietà, di imbarazzo o di divertita ironia nell’ascoltare il balbuziente, il quale non ha così cittadinanza tra i normali e neppure la dignità dei disabili: figli di un dio minore, per di più senza riconoscimenti o benefici di legge. Il servizio sanitario nazionale non prevede infatti alcun tipo di rimborso per corsi di rieducazione presso centri privati. Inoltre chi balbettava era idoneo per il servizio di leva ma rifiutato per la carriera militare; ancora oggi viene escluso in partenza in concorsi pubblici nel cui bando si cita esplicitamente la balbuzie come motivo di esclusione...”.

Vanno dunque individuate a tutti i livelli le barriere culturali, sociali e psicologiche per poter attivare programmi e strategie adeguate.

Ci aspettiamo l’aiuto di chi è nelle condizioni di potercelo dare, se non altro per poter fare informazione e sensibilizzazione in modo corretto.