L’adulto
Considerazioni
Riceviamo molte e-mail di persone di ogni età. Le più numerose sono quelle di genitori preoccupati per la balbuzie dei propri figli; vi è anche qualche genitore che si interessa per il figlio e intanto torna ad occuparsi della propria balbuzie; talvolta ci scrivono direttamente ragazzi anche giovani, dai 14 anni in su. Altre volte infine sono persone adulte che ci contattano, per la maggior parte studenti universitari o giovani lavoratori.
Ma alcuni hanno superato i quarant’anni, i cinquanta... e allora si avvicinano a noi e ci scrivono con un certo pudore, come se provassero imbarazzo a parlare del loro disagio di oggi, come se ritenessero poco dignitoso soffrire alla loro età.
Alcune persone descrivono senza mezzi termini i propri sentimenti: rabbia, dolore, senso di impotenza, voglia di prendersi delle rivincite.
In una mail di qualche tempo fa – per fare un esempio – un giovane di 25 anni ci raccontava la sua disperazione, l’incomprensione dei genitori che avevano sempre sottovalutato il problema, l’impossibilità di svolgere un lavoro decente... Voleva venire a Pisa, dalla Lombardia, per fare volontariato in Associazione perché nel sito aveva trovato quello che aveva sempre cercato e qualcuno con cui parlare senza imbarazzo, certo di esser capito e accolto.
Ci volle del bello e del buono per convincerlo a rimanere a casa, a cercare di parlare a cuore aperto con i genitori, a continuare a lavorare nella ditta del padre e, se proprio stava male, a sottoporsi ad una buona terapia. Ci ringraziò molto e ci chiese qualche suggerimento.
Gli parlammo di qualche terapia di gruppo che avrebbe potuto seguire a Roma o – visto che abitava in Lombardia – della possibilità di seguire una terapia logopedica a Torino o una psicologica a Padova dove potevamo indicargli due professioniste serie e preparate. Non lo abbiamo più sentito, ma uno dei nostri soci con cui si era messo in contatto ci ha poi informato che aveva seguito tre diversi trattamenti presso altrettanti ciarlatani, di quelli che promettono il miracolo in pochi giorni. Disilluso e imbarazzato è poi scomparso dalla circolazione...
Molte altre persone ci contattano con il tono di chi ha l’acqua alla gola. E poi non fanno niente, non tentano niente, rinunciano anche a sperare. A volte scompaiono, semplicemente. Qualcuno ci parla di difficoltà economiche, ma magari ci raccontano di essere appena tornati da una vacanza all’estero. Altre volte, anche da parte dei più giovani, si rimanda, spesso per sempre, la possibilità di seguire una idonea terapia o perché si deve andare in Inghilterra per un corso di lingua, o perché c’è una importante festa di compleanno, o perché si è fidanzati, o perché non si vogliono “sprecare” le ferie, o perché ci si sente troppo vecchi...
Ho conosciuto persone disperate per la propria balbuzie, altre che si sono viste la vita rovinata, qualcuno che non ce l’ha fatta neppure a continuarla, la vita.
Ci è stato suggerito a volte di non drammatizzare. Sono d’accordo e infatti non riportiamo per esempio le testimonianze più dolorose ed estreme. Qualche anno fa, quando un nostro socio ci aveva procurato un possibile intervento ad un programma RAI, ci fu detto che in trasmissione volevano fatti “forti”, fatti di sangue. Purtroppo avremmo avuto qualcosa di forte da raccontare, ma abbiamo deciso di rinunciarvi.
Però c’è ancora troppa gente (a cominciare da chi balbetta e dai suoi familiari) che continua a vedere la balbuzie come un disturbo di serie B, come qualcosa di cui occuparsi se non si ha niente di meglio da fare, se rimane del tempo libero. Salvo poi scriverci messaggi accorati quando non si riescono a superare, per esempio, i colloqui di lavoro.
Quando capiremo che la balbuzie è una cosa seria, allora forse saremo pronti a decidere di volerci un po’ più bene. Chi si frattura una gamba non rimanda perché le cure sono troppo care, non rinvia perché di lì a breve c’è il veglione di fine anno, non sceglie di rimanere con la gamba rotta perché gli amici proprio quell’estate vanno a Cuba.
Sarà troppo tardi?
Iniziamo con due aneddoti. Il primo è recente, di un paio di anni fa. Un nostro socio, medico in pensione, stava seguendo una terapia alla bella età di 78 anni. Aveva rimandato per una vita perché da giovane non sapeva a chi rivolgersi, poi la professione, la famiglia, l’ospedale... In quei giorni di terapia intensiva, si è sciolto molto ed ha raccontato cose che non aveva mai confidato a nessuno sulle difficoltà del tempo di guerra, sugli studi portati avanti con grande fatica, poi sulla sua vita di medico “silenzioso”, sulle telefonate mai fatte.... Si è commosso e ha pianto. E ogni sera, uscendo per una passeggiata con gli altri “ragazzi”, immancabilmente esclamava con amarezza: “Quanto tempo ho buttato via!”.
Gli dicevamo che invece di pensare al tempo perso, avrebbe dovuto pensare a godersi il bel momento attuale, a sentire il “qui e ora”. Ognuno ha i suoi tempi ed è sempre il momento giusto: è quello in cui una persona decide di dedicare un po’ di tempo e di amore a se stesso.Qualche tempo dopo ci telefonò tutto felice per raccontare che lui – da anni presidente della sezione locale del CAI, Club Alpino Italiano, – finalmente, invece di delegare al segretario la conduzione delle riunioni, lo faceva personalmente con sua grande soddisfazione ed altrui meraviglia.
L’altro episodio è di qualche anno fa. Ad un corso di adulti partecipavano tra gli altri due persone di una quarantina d’anni: un professore di liceo ed una impiegata in attesa di un figlio. L’uomo, venuto al corso spinto dalla moglie psicologa, era scoraggiato, demotivato e scettico. Nel presentarsi, il primo giorno, disse tra l’altro di essere appassionato di giardinaggio. “Nel mio giardino ho molti fiori e diverse piante; una cosa che mi manda in bestia è che non riesco a far crescere i peri. Ho provato tante volte a piantarne, in primavera e in autunno, con la luna piena e senza luna, ma loro niente, non ne vogliono sapere. Ma siccome sono testardo, continuerò a piantare peri finché campo”.
Passò qualche giorno e il professore non ingranava, finché comunicò al gruppo la sua decisione di abbandonare la terapia. La signora col pancione schizzò letteralmente dalla sedia e lo apostrofò con parole dure: “Ma non eri tu quello dei peri?! Non eri tu il testardo, quello che non si arrende mai? Per due peri sei disposto a lottare una vita e per una cosa così importante per noi come quella che stiamo affrontando, molleresti tutto dopo tre giorni?!”. Lui scoppiò in lacrime, cambiò letteralmente atteggiamento lavorando sodo, fu di esempio per tutti gli altri. E alla fine il professore titubante, timido, scontroso, solitario, non esisteva più.