La balbuzie - Il nostro punto di vista
Cos’è
«La balbuzie è un disordine nel ritmo della parola per cui il paziente sa cosa vorrebbe dire, ma nello stesso tempo non è in grado di dirlo a causa di arresti, ripetizioni e/o prolungamenti di un suono che hanno carattere di involontarietà» (Organizzazione Mondiale della Sanità, 1977).
«La balbuzie [...] ha natura intermittente e multidimensionale, poiché appare condizionata da variabili di natura socioculturale, psicologica, fisiologica e genetica, e come tale può essere descritta a molteplici livelli [...]. La definizione e la diagnosi tradizionali di balbuzie si basano sulla rilevazione uditiva e valutazione qualitativa delle disfluenze, che per numero, tipo, durata e posizione sono giudicate anomale e qualificano chi le produce come balbuziente.
Molti studi che seguono questa impostazione si sforzano di individuare i loci dell’enunciato balbettato associati con l’occorrenza delle disfluenze e di spiegare questi pattern distribuzionali invocando le stesse malfunzioni dei processi mentali che nei parlanti normali generano lapsus e disfluenze [...]. Il loro difetto principale è l’esclusiva attenzione alle disfluenze, che qualificano il parlato come “discontinuo”.
Ma la fluenza è multidimensionale e un parlato fluente oltre ad essere privo di discontinuità sarà anche prodotto con una scansione ritmica regolare, in modo rapido e senza eccessivo sforzo sia fisico che mentale [...]. Infatti è ben conosciuto in letteratura il caso di balbuzienti che non presentano disfluenze [...]. Questi soggetti sono affetti da “cover/subperceptual stuttering” e avvertono spesso nel parlare livelli eccessivi di sforzo muscolare e “tensione” cognitiva che possono sfuggire all’occhio e all’orecchio del clinico» (C. Zmarich 1999 – v. pag. 223 del libro “La balbuzie” di F. P. Murray, RED Edizioni, Milano 2003).
Oltre alla visione sopra enunciata, che è quella maggioritaria tra gli studiosi e i clinici, vi sono altri modi di vedere e di conseguenza di operare riconosciuti dal mondo scientifico grazie anche alle pubblicazioni (sempre di alto livello) oltre che naturalmente ai risultati pratici sui pazienti.
Ci piace segnalare qui un nome: la studiosa brasiliana Isis Meira dell’Università Cattolica di S. Paulo. Secondo lei c’è una balbuzie originaria che è appunto su base genetica e che la ricerca scientifica rileva nel 99% dei casi. E c’è una balbuzie costruita nel tempo dall’azione atipica di determinati gruppi muscolari e che va valutata dallo specialista con assoluto rigore metodologico: valutazione qualitativa delle tensioni atipiche specie nelle zone orale, cervicale e diaframmatica. La balbuzie costruita può essere ‘decostruita’ fino a far conseguire al soggetto quelle che la studiosa brasiliana chiama ‘buone abitudini di fluenza’ (Isis Meira 1983, 2002, 2004). Come? Attraverso un’azione mirata di riequilibrio del tono dei distretti muscolari interessati. Detto così sembra facile, ma il percorso, come noi stessi abbiamo avuto modo di verificare, è lungo e complesso.
Naturalmente Isis Meira non trascura nel suo lavoro col balbuziente le problematiche relative alla sfera cognitiva e a quella emotiva.
Quando insorge
«Ricerche epidemiologiche recenti hanno stabilito che per il 75% dei soggetti colpiti da balbuzie, l’insorgenza si situa dai 18 ai 41 mesi (età media 32 mesi), quando le abilità linguistiche, cognitive e motorie del bambino sono interessate da un rapido processo di maturazione e sviluppo. Il 90% dei bambini che balbetta inizia entro i 4 anni. Per il 10% dei casi la balbuzie insorge tra i 4 e i 6 anni.[...] Le ricerche di tipo genetico basate sugli antecedenti familiari e sulle gemellarità monozigote fanno ritenere che la balbuzie venga trasmessa per via genetica, e, anche se il meccanismo di trasmissione resta sconosciuto, il tipo di legame parentale e il sesso contribuiscono a determinare le probabilità che un bambino cominci a balbettare» (C. Zmarich 2003).
Due parole sull’incidenza: il 5% della popolazione ha balbettato in qualche periodo della sua vita; l’1% delle persone continua tuttora a balbettare; ci sono più balbuzienti di sesso maschile che di sesso femminile in una proporzione di 4 a 1.
Alla luce di questi dati scientifici, si può comprendere l’importanza di una diagnosi, la più precoce possibile, che stabilisca se la balbuzie osservata in età prescolare è tipica, sospetta o atipica. Per una “lettura” critica del fenomeno i genitori e lo stesso medico di famiglia o il pediatra non esitino a chiedere aiuto ad uno specialista per accertare con maggiore sicurezza:
- se, considerati certi parametri (per esempio fonatorio ed emozionale), si riscontrano chiari indicatori di transitorietà quali assenza di tensione e di sforzo;
- se c’è qualche caratteristica, nel comportamento verbale e non, che suscita dubbi o perplessità;
- se ci sono a livello verbale, comportamentale, emozionale, caratteristiche tali da richiedere l’aiuto formale di uno specialista (tensioni visibili e udibili).
Come si manifesta
La balbuzie è un disturbo del parlare che si manifesta in modi diversi:
- con ripetizioni: di parti di parole, di intere parole, più frequentemente monosillabiche ma non solo;
- con prolungamenti: spesso all’inizio della frase ma talvolta anche qua e là nel prosieguo del discorso;
- con blocchi, che possiamo suddividere in udibili e non udibili (o silenti).
Ma la balbuzie è anche un disturbo del “non parlare” e allora si avranno:
- sostituzione di parole (molto bravo, chi balbetta, nell’uso di sinonimi);
- evitamento di situazioni in cui si dovrà parlare;
- evitamento di eventi sociali;
- utilizzo di suoni di avvio (“dunque”, “allora”, “ehm”...);
- abuso di intercalari (“cioè”, “diciamo”, “come posso dire”...);
- uso di parolette “parassite”, completamente fuori dal contesto (“ma”, “che”) o addirittura senza significato (ci è capitato di sentire persino “ailì” e “ailà” alternati);
- lunghi e inutili giri di parole per arrivare a pronunciare di slancio “quella” parola.
Inoltre si possono registrare a volte comportamenti secondari:
- chiusura di uno o tutti e due gli occhi;
- battito di ciglia;
- dondolamento della testa, avanti e indietro oppure lateralmente;
- irrigidimento dei pugni;
- eccessivo gesticolare;
- schiarirsi frequentemente la gola;
- alzare e tratti il tono della voce;
- alzare o abbassare il volume della voce;
- dondolarsi sui piedi;
- darsi o dare colpi con una mano (sulla gamba, sul tavolo, sul banco di scuola...).
Il rapporto con gli altri
Balbettare provoca in chi balbetta – grandi e piccoli – emozioni e reazioni “forti”. Abbiamo invitato molti balbuzienti di tutte le età, nel corso degli anni, a compilare questionari appositamente predisposti e le risposte non differivano molto tra i bambini e gli adulti: isolamento, esclusione, diversità, impotenza, imbarazzo, vergogna, rabbia, fallimento, inadeguatezza, senso di colpa (il timore di aver deluso, per esempio, le aspettative dei genitori). E poi le domande, richiamate anche nel sottotitolo del presente manuale: perché proprio a me? potrò mai parlar bene? che cosa potrei fare se non balbettassi?
Ma purtroppo sono spesso forti anche le reazioni degli “altri”, soprattutto nel periodo della scuola. Da ricerche effettuate risulta che l’81% dei bambini che balbetta viene deriso a scuola, prima o poi.
Solitamente gli scherni più frequenti sono lo scimmiottamento (fare il verso al modo di parlare) o i soprannomi offensivi che richiamano la balbuzie. Preoccupa molto il dato che ci informa che circa il 50% dei ragazzi subisce atti di bullismo.
Alcuni dati accertati:
- è molto più probabile che i bambini che balbettano siano rifiutati dai coetanei e visti come figure di secondo piano (Davis, Howell & Cooke, 2002);
- circa il 50% dei genitori e degli insegnanti dichiarano di non essere al corrente del bullismo e delle derisioni (Hugh-Jones & Smith, 1999);
- derisione e bullismo possono accentuare la balbuzie (Murphy & Quesal, 2002).
Ovviamente questi dati, essendo un po’ datati, sono oggi in costante aumento.