Come la balbuzie può diventare utile per trovare un lavoro (Marco)
Quando in terza liceo non volevo più andare a scuola perché non riuscivo a dire in classe quel che avevo studiato a casa, non pensavo che la balbuzie, un giorno, mi avrebbe dato una marcia in più per trovare un lavoro.
Il mio percorso terapeutico è cominciato all’età di 16 anni quando, durante l’estate tra il secondo e il terzo liceo scientifico, mi ero ripromesso che se non avessi smesso di balbettare prima dell’inizio della scuola, non avrei proseguito gli studi. In realtà a scuola andavo molto bene.
Nonostante il mio problema, ero tra i migliori della classe, in uno dei migliori licei di Roma, però parlare “in quel modo” davanti a tutta una classe mi dava troppo fastidio e mi metteva in imbarazzo. Non riuscivo a sostenere una telefonata, ero terrorizzato dal presentarmi a qualunque tipo di sportello, avevo paura di andare a fare la spesa e dover chiedere qualcosa alla cassa... Che futuro avrei mai potuto avere? La risposta la capii già all’inizio della mia terapia: vivere una vita anche balbettando per il momento, facendo in modo che la balbuzie non determinasse la mia esistenza.
Questo lo compresi per mia fortuna abbastanza presto, anche se me ne convinsi molto più tardi. Ma questa è un’altra storia.
Per farla breve, mi diplomai al liceo e mi iscrissi ad ingegneria chimica, dove mi sono laureato con 110 tra i primi del mio corso. Ma la cosa più interessante secondo me sono stati i miei colloqui di lavoro.
Durante il mio percorso terapeutico, ho capito che una delle cose più sbagliate che potevo fare era di cercare di nascondere la mia balbuzie. Nel mio caso, il paradosso secondo cui “la balbuzie è tutto ciò che si fa per non balbettare”, era particolarmente azzeccato. Quindi, in situazioni di particolare stress, come per esempio agliesami universitari, una cosa che facevo molto volentieri era quella di dichiararmi all’inizio, non per chiedere sconti, ma per spostare l’attenzione del professore più su quello che dicevo rispetto a come lo dicevo. In realtà, la motivazione vera era che, così facendo, mi davo il “permesso di balbettare”, riducendo notevolmente lo stress e, di conseguenza, la stessa balbuzie. Devo ammettere che, dal quarto anno di università, il mio grado di fluenza era talmente elevato che non c’era più la necessità di dichiarare la balbuzie prima dell’esame, tanto è vero che agli ultimi esami mi dimenticavo di farlo.
Guarigione? Ovviamente no, la “guarigione” era già avvenuta quando tanti anni prima mi ero convinto che era possibile vivere una vita “normale” anche se per il momento balbettavo ancora. La buona fluenza è stata così una conseguenza.
Ma parliamo della ricerca di un posto di lavoro. Venivo dall’università parlando molto bene, tanto che parecchie persone non percepivano che ero balbuziente. Nel curriculum, era il caso di far riferimento al mio problema? Sarebbe stato squalificante? E parlarne ad un eventuale colloquio? Come avrei dovuto comportarmi? Dichiararmi, rischiando che qualche selezionatore ottuso facesse passare davanti a me una persona “normale”? Oppure nascondere la mia balbuzie? La riposta più semplice sarebbe stata quella di nascondere, avevo i mezzi per farlo, parlavo bene… Però avevo la sensazione che, così facendo, sarei rientrato nell’ottica della fuga dal mio problema (e quindi da me stesso) che, per esperienza, sapevo non portare a niente di buono. Dovevo quindi dichiararmi in qualche modo, possibilmente in maniera “furba”. Un curriculum non è fatto solo di esperienze lavorative o di voti scolastici. Allora potevo far riferimento alla balbuzie mettendola tra gli “interessi”. Certo che, “interessato in balbuzie”, non è che abbia molto senso…
Però ero iscritto all’Associazione Italiana Balbuzie e Comunicazione (Ai.ba.com.): era un ottimo punto di partenza.
Tutti ti dicono di citare qualunque associazione di cui fai parte. Ma soprattutto avevo avuto modo, frequentando corsi sull’auto mutuo aiuto per la balbuzie, di seguirne qualcuno per facilitatori di gruppi di volontariato.
Ora, quanti ingegneri possono vantare la frequenza ad un corso per facilitatore di gruppi di volontariato? Aggiunto anche quello.
Era il momento di cercare lavoro: come ogni cosa che faccio, prima di farla, mi documento il più possibile. Tra tutti i vari manuali su come preparare i curricula, consigli su come fare un colloquio, linguaggio corporeo, etc. etc.., una cosa che ricorreva spesso era l’importanza di saper lavorare in gruppo; di saper gestire un gruppo; di aver fatto sport di gruppo; di saper fare qualunque cosa, sempre in gruppo.
Io avevo fatto nell’ordine: terapie di gruppo, gruppo analisi, partecipato a gruppi AMA (auto mutuo aiuto), gestito gruppi AMA… Tutto questo perché sono balbuziente! Ma non è che la balbuzie e tutto il lavoro che ho fatto mi stava tornando… utile?
In un mese avrò mandato via internet curricula a poco più di un centinaio di aziende. Mi hanno richiamato in cinque.
Tutti i colloqui erano composti da una parte tecnica, consistente in sostanza in un simpatico esame universitario riguardante praticamente tutto il corso di studi, ed un colloquio psicologico, in cui venivano valutate l’adeguatezza e le motivazioni del candidato a lavorare nell’azienda (ed ovviamente la capacità di lavorare in gruppo, anche se non espressamente detto). Tutti, e dico tutti, i miei colloqui psicologici sono stati incentrati sul ruolo della balbuzie nella mia vita, su come ho affrontato e superato il problema, sulle esperienze di vita che la balbuzie mi ha dato modo di fare, il mio percorso terapeutico, le mie esperienze in gruppi che a differenza di molti altri candidati non si limitavano solo a quelli sportivi o ad organizzare concerti.
Dopo tutti questi cinque colloqui mi è stato offerto il posto, da ruoli tecnici a ruoli commerciali ad organizzativi (che poco avevano a che fare con la mia specializzazione). In sei anni di esperienza lavorativa, ho cambiato di mia volontà tre aziende. In nessun caso la mia storia di balbuzie si è rivelata un problema e, se anche lo fosse stato, cosa mi interessava? Io ero stato onesto, al colloquio avevo fatto tutto tranne che nascondere la mia “caratteristica”; se qualcuno avesse pensato che un balbuziente non era adatto al mio ruolo, beh, poteva non assumermi.
Un colloquio particolarmente divertente che secondo me merita una nota a parte è stato quello che ho fatto per una cosiddetta azienda di “cacciatori di teste”: sono aziende che propongono candidati validi ad altre aziende che devono fare delle assunzioni. L’azienda che deve assumere non intende fare tutto il lavoro “sporco” di scrematura iniziale dei candidati, e quindi lo fa fare a questi “cacciatori di teste” che presentano un numero limitato di candidati dopo aver fatto loro i colloqui preliminari.
Feci un colloquio in teleconference: io parlavo solo in una stanza davanti ad una telecamera e vedevo i miei interlocutori in un monitor (stavano in un’altra città), condizione che mi metteva abbastanza a disagio, abbassando notevolmente il mio tasso di fluenza. Fatto sta che alla fine mi hanno proposto, oltre all’azienda per cui facevano i colloqui, di andare a lavorare per loro come cacciatore di teste. Secondo loro ero una persona “dalla dialettica molto convincente”. Spesso infatti il lavoro di questi selezionatori consiste nel convincere figure professionalmente valide, che magari hanno già un posto di lavoro, a fare un colloquio tramite l’azienda “cacciatrice”, la quale prende quindi la commissione dall’azienda a cui propone il candidato.
In terza liceo non avrei mai pensato che una cosa del genere sarebbe potuta accadere!
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– Course of co-ordinator of Self-Help groups kept by CESVOT (Centro Servizi Volontariato Toscana 03/2002);
– Responsible of the self help group in Rome for association AIBACOM (Italian National Association for Stutters);
– Experience as a trainer in a volleyball team;
– Experience as an actor in TV commercials & films:
– model in commercial for “Coca Cola” (Europe) (2005);
– actor in commercial for “Puma” (Europe) (2003-2004);
– model in commercial for “Vodafone” (Europe,Japan) (2002);
– model in commercial for “Smirnoff Ice” (USA) (2001);
– actor in film “My name is Tanino” by Virzì (2001);
– actor in film “Gangs of New York” by Scorzese (2000);
– Sports: beach volley (Italian national competitions); volleyball (Italian national competitions); rowing (Danish national competitions)...”.
Marco Menchinelli, Ingegnere, Roma - Agosto 2010